Dopo aver parlato della quantità, passiamo alla qualità, almeno quella ricercata (e in alcuni casi trovata) dal sottoscritto nei film usciti nel 2020.
Intanto una precisazione: ho considerato ai fini di questo “pagellone” i soli film distribuiti nel 2020, al cinema o nelle piattaforme di streaming (sia quelle per così dire “mainstream”, come Netflix o Amazon Prime Video, sia quelle “di nicchia” come Mubi, FarEastream, o la neonata I Wonderfull). Sono dunque esclusi i film passati (solo) ai festival, o quelli che non hanno avuto una distribuzione in Italia, ma soltanto in altri Paesi.
Il “pagellone” si compone di più parti:
- la classica top ten, con i dieci migliori film dell’anno “secondo me”;
- una serie di segnalazioni di film che sono rimasti fuori dalla top ten, ma che meritano di essere ricordati;
- una top 3 dedicata al cinema italiano;
- una lista di dieci film da cui invece mi aspettavo qualcosa di più (ma per i quali non necessariamente ho espresso un giudizio complessivamente negativo);
- una breve lista di “guilty pleasure” della stagione.
Iniziamo dunque dalla top ten, i cui primi cinque posti sono già apparsi nella classifica annuale di L’ultimo Spettacolo.
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La top ten
- I miserabili, di Ladj Ly
Il tema delle periferie non è sicuramente nuovo nel cinema francese. Forse lo è, invece, quello delle prevaricazioni della polizia, che si pensava essere un fenomeno più che altro statunitense. Un film solidissimo, un esordio straordinario, un’opera di grande impatto sociale, stratificata e ricca di contenuti.
- Alla mia piccola Sama, di Waad Al-Khateab e Edward Watts
Un documento potentissimo, di straordinaria efficacia, in cui le finalità perseguite, la forza dello sguardo e la genuinità dell’operazione hanno la meglio su qualsiasi possibile rimostranza sulla forma.
- Diamanti grezzi, dei fratelli Safdie
Allacciate le cinture e lasciatevi trasportare da questo profluvio di parole, situazioni surreali e follia innestato perfettamente dai fratelli Safdie in un contesto tipicamente americano, sia dal punto di vista spaziale (il diamond district di Manhattan), sia sotto il profilo temporale (i playoff NBA del 2012).
- Il processo ai Chicago 7, di Aaron Sorkin
Prendete uno sceneggiatore premio Oscar come Aaron Sorkin e dategli in mano una storia rimasta a lungo nel development hell, che ha il vantaggio di uscire nel momento più opportuno per innescare tutta la sua potenza politica.
- 1917, di Sam Mendes
Un film dimenticato forse un po’ troppo in fretta e troppo in fretta liquidato con giudizi concentrati sui soli aspetti tecnico-formali. E invece resterà un ottimo film sulla Prima guerra mondiale, che forse apprezzeremo maggiormente col passare degli anni.
- La Gomera – L’isola dei fischi, di Corneliu Porumboiu
Dirompente, intelligente, ben girato e con una storia quanto meno suggestiva. Porumboiu, che qui veste i panni di una sorta di Tarantino rumeno, ha stupito e fatto divertire davvero tanta gente da Cannes 2019 in avanti.
- Roubaix, una luce nell’ombra, di Arnaud Desplechin
Un’opera solidissima e perfettamente a fuoco sui temi della povertà, della provincia e del disagio sociale, di un autore colpevolmente trascurato (a cominciare dal sottoscritto).
- Il lago delle oche selvatiche, di Diao Yi’nan
L’esistenza di una frizzante new wave nel cinema cinese, pronto a impossessarsi di generi tradizionalmente occidentali (come il noir o il gangster movie), viene confermata da questo film di Diao Yinan, che replica quanto di buono si era visto l’anno scorso con I figli del fiume giallo.
- The Load, di Ognjen Glavonić
Una di quelle opere che ti ripagano di un anno di abbonamento a Mubi. Purtroppo, però, è passato in sordina, come tanto cinema dei Paesi dell’ex Jugoslavia. Un’opera folgorante sui crimini di guerra durante il conflitto in Kosovo.
- I predatori, di Pietro Castellitto
Film italiano dell’anno, a parere di chi scrive. Esordio straordinario, dirompente, con una sceneggiatura interessantissima. Un po’ Kubrick e Tarantino (ma solo per la struttura) e un po’ Lanthimos, ma decisamente più spensierato (in fondo è una commedia).
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Segnalazioni fuori dalla top-ten
Per meriti di scrittura:
On the Rocks, di Sofia Coppola
Scenari alleniani, una sceneggiatura intrigante e l’attenzione al mondo femminile che la Coppola sa metterci.
Alice e il sindaco, di Nicolas Pariser
Dialoghi efficacissimi per una storia di crescita interiore nello scenario controverso della politica e delle istituzioni.
Il re di Staten Island, di Judd Apatow
Commedia sorprendente e abbastanza anticonvenzionale, a cominciare dal suo protagonista (che si comporta benissimo).
Ma Rainey’s Black Bottom, di George C. Wolfe
L’origine teatrale del soggetto è evidente, ma non sempre le pièce teatrali vengono tradotte in sceneggiature all’altezza. In questo caso assolutamente sì, con l’aggiunta di una coppia di attori protagonisti entrambi in grande forma, Viola Davis e Chadwich Boseman (che convince più qui che in Da Five Bloods, così come convince molto più questo film di quello di Spike Lee).
Per meriti tecnici (ma non solo):
Buñuel nel labirinto delle tartarughe, di Salvador Simó
Il biopic animato che narra di un Luis Buñuel alle prese con il documentario Terra senza pane, ultimo dei tre film girati dal regista aragonese prima della Seconda guerra mondiale. È anche il meno conosciuto dei tre, ma il più politico, quello in cui la pulsione surrealista ha ceduto lo spazio alla visione realista e a una tecnica di rappresentazione che anticipa Herzog nel suo contrapporsi al (futuro) Cinema Verità. E questo film d’animazione racconta tutto alla perfezione.
Dragged Across Concrete – Poliziotti al limite, di S. Craig Zahler
Un crime solidissimo, per regia, ma anche per sceneggiatura. Stupisce come un film così (che risale al 2018, che era stato presentato a Venezia e che è uscito un po’ ovunque nella prima metà del 2019) non sia arrivato al cinema in Italia.
They Sall Not Grow Old – Per sempre giovani, di Peter Jackson
Un documentario sulla prima guerra mondiale, uscito nel centenario della fine delle ostilità (ma arrivato in ritardo da noi), affidato dalla BBC a Peter Jackson. E lui si ingegna per dare qualcosa di nuovo a strumenti tradizionali quali i filmati d’archivio e gli audio delle interviste ai reduci. La digitalizzazione dei primi, con risultati straordinari; il montaggio accurato dei secondi sulle immagini; e l’aggiunta di un sonoro ricostruito ai filmati. E così la prima guerra mondiale sembra rivivere, annullando la distanza di un secolo e dei mezzi ancora primitivi del cinema degli esordi che l’aveva immortalata.
Per meriti idealistici:
Indianara, di Aude Chevalier-Beaumel, Marcelo Barbosa
Una potente, irriverente e sboccata fotografia della condizione degli LGBT nel Brasile di Bolsonaro, seguendo le gesta quotidiane di una figura estremamente carismatica di quel mondo come Indianara Siqueira, attivista transgender.
Your Turn, di Eliza Capai
Ancora in Brasile (stavolta quello pre-Bolsonaro) per questo accorato e partecipato documentario sui movimenti studenteschi e sulle proteste giovanili. Con uno stile davvero interessante, originale e giovanile.
#Unfit – La psicologia di Donald Trump, di Dan Partland
Un film a tesi, orgogliosamente schierato contro Trump, che viene presentato da psichiatri, psicoterapeuti e psicologi come un sociopatico, un narcisista, un paranoico, un sadico, un razzista, un bugiardo. E dopo quello che è successo negli ultimi mesi vien da chiedersi se forse non si siano sbagliati per difetto.
The Social Dilemma, di Jeff Orlowski
La drammatica deriva dei social network raccontata da chi ha contribuito a edificare il sistema, ma si è poi accorto che le cose sono decisamente sfuggite di mano. E’ stato creato un mostro dalle mille teste… e l’impressione è che si sia solo all’inizio.
Boys State, di Jesse Moss, Amanda McBaine
Nell’anno in cui la più grande e importante democrazia occidentale è finita sotto l’attacco interno del populismo più intransigente, questo documentario fa sperare in un futuro di giovani che credono ancora nel processo democratico, e nella sua capacità di sopravvivere alle minacce.
Sorry We Missed You, di Ken Loach
Il solito Loach (con il solito Laverty) ad esplorare le storture della società contemporanea e del mondo del lavoro. Con un occhio al tema molto attuale (ancor più dopo la pandemia) dei corrieri.
Per le atmosfere:
Ghost Town Anthology, di Denis Côté
Altra piccola perla che se non fosse stato per Mubi chissà se avrebbero mai distribuito in Italia. Una ghost story particolare e molto affascinante, con echi shyamalaniani.
Little Joe, di Jessica Hausner
Qui le atmosfere sono asettiche, per un film – a metà tra horror e fantascienza – che a caldo avevo definito “la versione botanica di 2001: Odissea nello spazio” (con tutti i distinguo del caso e in tono minore, ovviamente).
Piccole donne, di Greta Gerwig
Un adattamento non semplice di un classico della narrativa. Eppure la Gerwig mette tutti gli ingredienti al posto giusto, aiutata da un cast di grande spessore, e confeziona un’opera che è ben più di un affresco generazionale o femminista.
Speciale Herzog:
Herzog incontra Gorbaciov
Nomad – In cammino con Bruce Chatwin
Fireball: messaggeri dalle stelle
Family Romance, LLC.
Nell’anno in cui sono stati distribuiti (tra cinema e streaming) ben quattro lungometraggi dell’ultra-prolifico cineasta bavarese (se non è record, poco ci manca), non si possono non citare i suoi tre nuovi documentari (che non avranno la forza teoretica e filosofica dei documentari della sua giovinezza o della sua maturità artistica – i vari Paese del silenzio e dell’oscurità, Fata Morgana, Apocalisse nel deserto – ma che restano delle opere straordinarie) e, soprattutto, il film a soggetto Family Romance LLC., probabilmente il più ispirato dei quattro.
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Top 3 – Cinema italiano
- I predatori, di Pietro Castellitto
Già presente in top ten e di cui pertanto si è già detto.
- Favolacce, dei fratelli D’Innocenzo
I fratelli D’Innocenzo si pongono come i Lanthimos de noantri in quest’opera seconda un po’ disturbante, ma estremamente efficace per sceneggiatura e regia.
- Spaccapietre, dei fratelli De Serio
È l’anno delle coppie di fratelli per il cinema italiano, anche se questo Spaccapietre ha suscitato meno entusiasmo rispetto a Favolacce. Per il loro nuovo film i De Serio si richiamano, per certi versi, al neorealismo di Ladri di biciclette e al neo-neorealismo di Dogman.
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10 film da cui mi aspettavo qualcosa di più
(ma che non necessariamente sono film negativi)
La ragazza d’autunno, di Kantemir Balagov
Sarà che dopo Tesnota le aspettative erano molto alte per questo enfant prodige del cinema russo, allievo di Sokurov. Dylda è un ottimo film, ma sulla carta aveva le potenzialità per ambire ad essere l’opera della consacrazione definitiva. La ricercatezza formale è straordinaria, è mancata forse una maggiore compiutezza nella sceneggiatura.
Waiting for the Barbarians, di Ciro Guerra
Lo stesso discorso di cui sopra vale per Ciro Guerra. Nel suo caso, però, il passo indietro rispetto alle due precedenti straordinarie opere (El abrazo de la serpiente e Oro verde – C’era una volta in Colombia) è più marcato e ha coinciso con il tentativo di conquistare Hollywood con il primo film in lingua inglese del regista colombiano. Ma il film è riuscito solo in parte.
Ema, di Pablo Larraín
Come per Balagov, non una delusione, ma una leggera insoddisfazione per il fatto di non trovarsi di fronte a qualcosa di ancora più grande, visto che Larraín ci aveva abituato fin troppo bene negli anni passati. È comunque un ottimo film, soprattutto dal punto di vista visivo-formale.
La vita nascosta – Hidden Life, di Terrence Malick
È comunque un film valido, ma non so se considerare il Malick del suo decimo lungometraggio più vicino al manierismo oppure a una (ri)conferma di uno stile autoriale che richiama fortemente il suo miglior lavoro (che a mio avviso resta La sottile linea rossa). E poi non sono del tutto convinto che abbia catturato l’essenza della ribellione pacifica contro il nazismo (e in generale contro il male).
Mank, di David Fincher
La Hollywood che parla di sé è ormai quasi un sottofilone del meta-cinema e se l’immersione è nella Hollywood dell’età classica e nel cinema di Orson Welles (e se il regista è Fincher) le aspettative sono a mille. Eppure, c’è forse un’eccessiva artificiosità in questo Mank, che ha invece tra i lati positivi l’ennesima straordinaria prova di Gary Oldman.
The Lighthouse, di Robert Eggers
Sarà che anche di questo film si era parlato tantissimo, prima che venisse effettivamente (e legalmente) distribuito. E se ne era parlato molto bene. Eppure, quest’opera seconda di Eggers mi ha convinto solo in parte, sicuramente per la fotografia e per la recitazione dei due protagonisti.
Vitalina Varela, di Pedro Costa
Pedro Costa fa il Béla Tarr portoghese, ma gli aspetti formali finiscono per annichilire l’ambito narrativo, per un film che resta comunque visivamente straordinario (la splendida fotografia caravaggesca in primis, forse la migliore dell’anno).
The Gentlemen, di Guy Ritchie
Guy Ritchie ha praticamente fatto un remake/reboot di Snatch. Divertente, ma per l’appunto roba già vista, con novanta minuti di spiegone affidato a Hugh Grant e le scene migliori che finiscono per essere quelle in stile videoclip.
The Invisible Man, di Leigh Whannell
Una gestione impeccabile della suspense, nulla da dire sugli effetti speciali, ma ci ho visto alcune debolezze in fase di scrittura.
Tenet, di Christopher Nolan
E poi vabbè, c’è Tenet, che è stato talmente pompato – con l’invocazione di Nolan quale salvatore del cinema sul grande schermo – da far montare alle stelle le aspettative (ma un film di Nolan è sempre molto atteso, c’è anche da dire). Non un giudizio negativo, anche in questo caso, ma mi aspettavo una bomba alla Memento (o alla Inception) e invece ci sono state alcune zone d’ombra.
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I guilty pleasure del 2020
Borat – Seguito di film cinema, di Jason Woliner
Il film invecchierà prestissimo, ma lo humour politically uncorrect di Sacha Baron Cohen ha fatto breccia ancora una volta. E poi potrebbe aver dato un ancorché minimo contributo nel mandare a casa Trump, o almeno così mi piace pensare.
Antebellum, di Gerard Bush e Christopher Renz
Roba già vista con Jordan Peele, sia chiaro. Eppure, la messa in scena è efficace e il film conferma come si possa fare entertainment puro lanciando forti messaggi sociali.
Jojo Rabbit, di Taika Waititi
Ha polarizzato parecchio i giudizi, come era lecito aspettarsi da un film che affronta con spirito faceto i temi del nazismo e dell’Olocausto. Ha entusiasmato qualcuno e profondamente indignato qualcun altro. Forse, in fin dei conti, è soltanto un film innocuo. Eppure, in molti suoi aspetti, l’ultima opera di Taika Waititi mi ha convinto.
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I film visti in ritardo e che (forse) avrei messo in top10
Il diritto di opporsi, di Destin Daniel Cretton
Il tema della pena di morte e del razzismo nel Sud degli Stati Uniti (negli anni Ottanta del Novecento, quando era sicuramente un problema più di adesso – e non che adesso sia sparito, ovviamente, ma era ancora peggio). Un film potentissimo, cinema dell’indignazione che ha spesso gioco facile, ma che altrettanto spesso rischia di inciampare o di sbagliare strada. Non che sia esente da difetti, perché ce ne sono eccome: il manicheismo dei personaggi e delle situazioni; un attore protagonista che non convince del tutto (Michael B. Jordan – straordinario invece Jamie Foxx). Ma è davvero un’opera importante, soprattutto dal punto di vista del messaggio sociale.
ho visto solo jojo e lo adorai **
Come ho scritto, i giudizi su Jojo Rabbit si sono polarizzati. Ho giusto finito di leggere uno che lo ha definito insostenibile…
Ma si sapeva che sarebbe andata così
Povero Zahler ignorato dalla distribuzione… Si merita tanto di più!
Su Guy Ritchie ti do ragione, film divertente ma che è nelle sue corde e sa di già visto. The Lighthouse a me è piaciuto tantissimo invece, probabilmente più di The Witch!
In ogni caso… Buon anno! :–)
The Lighthouse è finito in diverse classifiche di fine anno, per cui ci sta. E anche per quello vale lo stesso discorso fatto per Dragged…, sarebbe stato bello vederlo in sala un film così.
Buon anno anche a te!
JO JO RABBIT… chiedere se è un bel film è come chiedere se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto.
Dipende dallo stato d’animo in cui ti trovi. Se sei allegro dirai che è divertente come lo era THE DICTATOR di Chaplin. Se sei un po’ giù (come mi capita in questo momento) dirai che c’è poco da scherzare su una tragedia come quella.
Vero anche quello. Almeno come giudizio di primo impatto. Poi bisognerebbe tentare un giudizio astratto e oggettivo, ma con film di questo tipo non è sicuramente semplice…
A me invece Mank è piaciuto molto, mentre sugli altri film mi dichiaro ignorante ma desiderosa di migliorare.
Mank ha diviso molto.
Anche se, principalmente, chi l’ha criticato lo ha fatto per la questione dell’aderenza alla realtà dei fatti (ossia la questione se Mankiewicz sia stato o meno il vero autore della sceneggiatura di Quarto Potere – sintetizzando oltremodo). E quindi per ragioni di script e non di forma.
C’è chi l’ha trovato addirittura riprovevole per questo fatto (ma come? critichi le fake news che hanno portato alla sconfitta di Sinclair alle elezioni a Governatore della California e poi piazzi una fake news bella e buona come colonna portante del film? – quella che Mankiewicz avrebbe scritto da solo la sceneggiatura di Quarto Potere).
C’è chi invece sostiene che la cosa sia voluta. E’ una questione complessa…